Il RAGIONIER UGO FANTOZZI METAFORA PERFETTA DELL’ITALIETTA DI MERDA… AH PARDON DI MODÀ

Caro Paolo,

Ieri sera al Namaste, un bar ubicato nel cuore della Firenze Medievale, una via stretta e colma di alti palazzi trecenteschi, una di quelle che ricordano un poco i caruggi della tua Genova, ho avuto l’onore di leggere questo mio modestissimo articolo che avevo scritto nel 2015, credo. Avrei dovuto leggere delle poesie, così da finirla pesto di tediare il prossimo con le mie parole strimpellate, invece non ho resistito alla tentazione di renderti un mio omaggio sommesso, ma sincero, credimi.
Non importa che il pubblico fosse sparuto, quasi assente, non importa che i poveri umani che hanno avuto la pazienza di ascoltarmi, lo abbiano fatto unicamente perché non capivano l’italiano e quindi non sapevano di cosa e soprattutto di chi stessi parlando, quello che importa è il mio cuore che si stesse gonfiando di emozione pensando ai ricordi, ricordi che tu avevi suscitato in me.
Mi hai fatto ridere certo, ma io non ho ai cessato di prenderti sul serio, tremendamente sul serio. Dietro il riso che volevi suscitare, ho sempre colto un’amarezza antica, quasi atavica. Mai come per te vale quello che aveva scritto in Minima Moralia T. W. Adorno “il borghese invece è tollerante, il suo amore per la gente com’è nasce dall’odio per l’uomo come dovrebbe essere”. Tu da questo punto di vista, borghese non lo sei mai stato.
Sono sicuro che a te non poteva bastare l’uomo com’è, come si manifesta, come si comporta, come in altri termini si crede superiore al tuo Fantozzi e questo dà al tuo umorismo un retrogusto amaro, oserei triste.
Non abbiamo voluto proprio cambiare nulla e siamo rimasti tutti impiegati della megaditta, anche se ora essa non esiste più, visto che il lavoro in Italia è sparito.
Dovunque tu sia o non sia, da ora in poi il tuo ricordo lo porterò per sempre verso un orizzonte in cui è l’essere umano per come potrebbe e dovrebbe essere ad averla ragione su tutto e su tutti.
Tu vivrai nel mio ricordo e nella mia eterna riconoscenza.
Perdona coloro che hanno preferito ridere piuttosto che capire… i segreti del cuore sono simili agli scorci suggestivi della tua città che d’improvviso baluginano allo sguardo e lo riempiono di bellezza…
Sono sempre lì e allo stesso tempo risultano invisibili ai più….

 

Arrivederci

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Chi non conosce il rispettabilissimo Ragionier Ugo Fantozzi, matricola 1001\BIS della Megaditta ITALPETROLCEMETERMOTESSILFARMOMETALCHIMICA. Eroe tra gli eroi, quintessenza stilizzata al ribasso del tanto decantato italiano medio, soggetto sociologico di difficile, quasi impossibile catalogazione.

Ma con il nostro carissimo Ragionier Fantozzi tutto è diverso, “merdaccia” con epiteto ufficiale e universalmente accettato, egli non è l’italiano medio in senso stretto, piuttosto è l’ultimo degli ultimi, la zattera derelitta in cui tutti possono scoprirsi superiori e quindi nel giusto. Alibi degli alibi, alibi tra gli alibi, Fantozzi è la merda perfetta in cui tutti possono scoprirsi un gradino sopra. Grazie al nostro povero sventurato eroe, tutti possono credere di essere nel migliore dei mondi possibili.

Chi non ricorda l’epica scena in cui il professor Guidobaldo Maria Riccardelli chiede a Fantozzi “Ah la nostra merdaccia, venga venga Fantocci, finalmente ha trovato le parole, chissà quale profondo giudizio estetico avrà maturato in tutti questi anni” e la sua altrettanto epica risposta “Per me la corrazzata Kotemkin è una cagata pazzesca”.

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Ci sarebbe molto da ridere ed in effetti Fantozzi è il Sovrano assoluto della risata all’italiana, dello svolazzo peninsulare verso la risata grassa di trimalcionesca memoria.

Che male c’è a voler ridere un po’, dopo tutto la vita è fatica, il lavoro è duro, bisogna sapersi divertire e cosa c’è di meglio di passare una bella serata a scompisciarsi dalla risate, guardando le malaugurate avventure del povero ragioniere “merdaccia” per vocazione divina e concessione graziosissima del Megadirettore Galattico.

Lo capisco che, e già da molto tempo, nessun ha più voglia di vedere messaggi politici e utopismi sociali nella ribellione di Fantozzi ad una cultura imposta dall’alto e fatta subire come elemento di ubbidienza dalla gerarchia sociale. Nessuno vuole più andare oltre la risata.

Eppure quello che mi interessa in questa sede non è tanto il significato sociologico della figura del nostro ragioniere, quanto piuttosto il percorso dell’intera saga fantozziana come metafora per capire i cambiamenti della società italiana, nell’emblematico ed epocale passaggio degli anni ’80.

Per provare a comprendere il problema nei termini esatti, bisogna innanzitutto porci una domanda cruciale, ma esiste un Fantozzi e non ne esistono più d’uno?

Di Fantozzi ne esistono due, due espressioni solo in apparenza unite da una medesima saga, ma invece irriducibilmente opposte ed inconciliabili. Esiste un Fontazzi prima e un Fantozzi dopo la rivoluzione italiana della Milano da bere.

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Proprio per questo la sua saga diventa dunque metafora viva e perfetta per capire l’Italia e la sua unica e vera rivoluzione mai accaduta, quella dei baùscia e dei borghesotti piccoli piccoli dalla morale nulla e della cultura pari a quella di una noce moscata del Madagascar.

Si tratta di una rivoluzione prima silenziosa, poi di colpo fragorosa, chiassosa, capace di sradicare ogni cosa, di dissacrare qualsiasi tempio della cultura. Rivoluzione inesorabile, definitiva, senza ritorno.

Ma cosa è accaduto di grazia?

Una cosa meravigliosa ed unica nella storia. I soggetti irrisi nei film della Commedia all’italiana, hanno deciso di non essere semplicemente oggetto di racconto e di satira, ma divenire protagonisti unici del mondo e ribellarsi al potere di registi, artisti ed attori che avevano intenzione di sottendere chissà quale messaggio.

La Commedia italiana, con il suo implacabile cinismo, aveva avuto il pregio di inchiodare i suoi protagonisti davanti al peso inconciliabile della loro immoralità e mancanza di scrupoli e ne aveva fatto megafono di un mondo in ascesa sociale, ma pur sempre fotografato nella sua putrescente vuotezza. Non c’era conciliazione possibile in quel racconto, ed ogni risata era il contrappunto di una condanna senza appello, quasi senza speranza.

Gli italiani potevano anche pavoneggiarsi di essere sulla scena del cinema, di essere protagonisti delle storie narrate in decine di film indimenticabili. Eppure restavano in fondo condannati, imprigionati nella loro pochezza.

Di questa pochezza, i primi due film del ciclo fantozziano, frutto della penna felice di Villaggio, non sono solo emblema, ma anche metafora vivissima e cruda.

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Il mondo di cui il ragioniere Ugo Fantozzi è protagonista assoluto, rappresenta infatti un’allegoria cinica e spietata dell’italietta entrata con passione nel mondo incantato del tardo capitalismo. Come in ogni allegoria che si rispetti, tutti i personaggi si tengono l’un con l’altro. Nessuno può chiamarsi fuori e dire che non era colpa sua, che le cose sarebbero potute andare diversamente. La società fantozziana non fa sconti a nessuno, nella sua umiliante e fetida gerarchia, i furbi si salvano perché sono dei mostri e non perché sono dei furbi. L’ultimo è ultimo perché non si ribella, non perché la sua colpa è quella di essere ultimo.

Ognuno può ridere quanto vuole di ogni singola scena, come quando Fantozzi e la signorina Silvani vanno al ristorante giapponese, cercando di isolarla e di immortalarla come un cammeo della risata all’italiana, ma quello che conta davvero è la metafora allegorica d’insieme. Quello che conta davvero è la condanna spietata di un mondo nel quale sono sempre i sentimenti e gli istinti più vili non tanto a trionfare, quanto a essere il motore ed il rodaggio della gerarchia sociale e della riproduzione di un sistema capitalismo assolutamente non libertario.

Nel mondo allegorico fantozziano parole come libertà, democrazia, lavoro, amore e cose del genere, assumono il vero ed unico significato che esse hanno in verità nel capitalismo, ovvero concetti simbolici formali che servono a riprodurre il ciclo produttivo e ad alimentare un consumismo sfrenato e senza riflessione da parte dei consumatori.

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Quando Fantozzi incontra Folagra il velo sembra squarciarsi. Per un attimo, l’ultimo degli ultimi sembra ribellarsi al destino che lo vuole schiavo del sistema, conducendolo a gridare esterrefatto “Ma allora ci hanno sempre preso per il culo?”

Questo potere allegorico ovviamente, non poteva che perdersi nel corso della saga, a rivoluzione avvenuta.

Nessuna società è pronta ad accettare di essere messa radicalmente tutta in discussione. Ridere e scherzare certo, ma mai facendo sul serio, mai descrivendo l’insensatezza delle regole che reggono la società.

In fondo il vero potere dell’allegoria e dunque la sua inaccettabilità nel mondo capitalista è propria quella di fare metafora del sistema e non di un suo aspetto simbolico. A cadere nella critica allegorica è tutto un mondo, tutta una società.

L’allegoria ipostatizza la pretesa totalitaria che regge qualsiasi società, proprio facendone metafora, propria raccontandola in modo irrisorio e sferzante. Il simbolismo scheletrizza il mondo e lo conduce su un piano parallelo dove tutti possono cercare a piacere condanne e vendette e paradisi artificiali e simbolici, sempre nell’ambizione di poter sfuggire definitivamente dal piano totalitario del mondo reale.

L’allegoria invece ci condanna nella nostra pochezza, pochezza che va spesa e scontata interamente nella volgare gerarchia della realtà. Non esiste un altro mondo nel quale i sentimenti e gli istinti biechi non sono padroni dei rodaggi della società.

Ma non c’è da preoccuparsi, perché nel frattempo i manichini ed i baùscia della Commedia si sono ribellati ed hanno dichiarato incostituzionale e condannabile ogni tentativo allegorico di mettere in discussione la società nel suo insieme.

A forza di vedersi al centro del palcoscenico, questi pagliacci vuoti e immorali hanno finito per innamorarsi della parte e a credere che il mondo vada davvero a loro immagine e somiglianza.

Perché allora continuare ad ascoltare scrittori, professori, Soloni di ogni razza e religione?

Umiliati per secoli ed imprigionati nella loro pochezza umana i buffoni, i “mostri” come avrebbe detto Dino Risi, si sono presi in un sol colpo il potere e l’autorità di decidere di quel che ha gusto e di quello che non lo ha.

La corazzata Kotemkin è una cagata pazzesca” è per loro un articolo di fede, una verità apodittica.

Seguendo il motto se non ti capisco è colpa tua, il pagliacciotto italiano avanza come un trattore che spiana il campo secolare della storia.

Fantozzi da schiavo del sistema di un mondo allegorico, diviene lungo la saga, la stanca figura che ripete macchiette e scene divertenti come una scimmia ammaestrata, come un tempo sua figlia Mariangela aveva fatto durante la recita natalizia davanti l’organigramma aziendale della megaditta.

Del resto lo sapete tutti che crocifisso in sala mensa e nell’acquario dei dipendenti nell’ufficio del Megadirettore Galattico, finisce sempre per esserci la “pecora rossa” della megaditta, il buon Compagno Folagra.

Requiescat in pace. Amen.

Marco Incardona

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