ECCO PERCHE’ IL REDDITO DI CITTADINANZA RAPPRESENTA IN QUESTO MOMENTO L’UNICA FORMA DI DEMOCRAZIA UNIVERSALE POSSIBILE

reddito

Se si volesse essere evangelici e seguire i dettami di Cristo, nemmeno al nostro peggior nemico sarebbe da auspicare una vita di stenti e di indigenza e la disperazione di non sapere come poter dare da mangiare ai propri cari.

Eppure, anche se a molti di noi, questa estrema disperazione sembra ora lontana e impossibile da riprodursi nelle nostre vite concrete, nondimeno non è difficile immaginare quanto poco possa interessare la politica a chi non sa nemmeno come trovare la quadra dei conti che gli permetta di mangiare due volte al giorno.

Detta così, sembra di parlare di un mondo a noi ameno, quello delle metropoli indiane o nigeriane, quello del mondo dei disperati che sbarcano sulle nostre coste e che ci spaventa per numero e portata in costante aumento. Forse è così, forse il nostro benessere, il benessere accumulato nelle banche, prima che falliscano anch’esse, consente ancora a molti, se non a quasi tutti, di non vedere e non immedesimarsi in questi scenari catastrofici da Oliver Twist di Dickens.

Forse, ma l’Italia in questi anni di crisi ha perso circa il 25% della sua produzione industriale, e non ci vuole un genio per capire che questo significa non solo che siamo tutti più poveri e meno produttivi, cosa che non sarebbe in assoluto un male se si volesse davvero cambiare la nostra società in modo radicale e più sostenibile, ma che lo diventa in assoluto se si considera per un attimo le migliaia e migliaia, per non dire milioni, di posti di lavoro sono stati persi per sempre.

Forse gli scenari non sono dickensiani, forse non assomigliano ancora alla povertà estrema di metropoli come Calcutta, ma c’è da stupirsi che intere fette della società stiano progressivamente allontanandosi non solo dalla politica, ma all’idea stessa di cittadinanza, ovvero all’idea di appartenere ad una medesima comunità? C’è da stupirsi poi nel costatare che spesso e volentieri a disaffezionarsi maggiormente siano proprio i giovani in gran parte disoccupati o le periferie e le regioni più depresse e colpite dalla crisi economica?

A meno che non si vogliano vedere le cose con fatalismo congenito e aspettare il miracolo, a meno che non si voglia il peggio, questo peggio che sta profilandosi, ovvero che sia tutto frutto di un progetto di macelleria sociale ben studiato e applicato, se ne deve evincere che la situazione sociale e economica del nostro Paese e sempre di più dell’intera Europa, rischia di tagliare fuori dalla partecipazione collettiva intere fasce della società che non si sentono rappresentate e che non sono più capaci di rivendicare diritti che non riescono nemmeno più a intravedere o immaginare.

Non bisogna essere dei marxisti di stretta osservanza per capire che la libertà politica, che il senso di essere cittadini e cittadine di una medesima comunità, ha poco valore laddove le diseguaglianze economiche crescono a dismisura, la disoccupazione a doppia cifra si fa strutturale e i giovani sono costretti a emigrare.

La complessità dei fenomeni collettivi sociali, politici e economici del tempo presente, del tempo della tanto declamata globalizzazione, rendono il quadro d’insieme difficile da essere capito dai settori più deboli della società, e talvolta sembra quasi che tali settori siano chiamati “strutturalmente” a non capire e a non sentirsi parte di tali fenomeni. Meno vi partecipano e meno li combatteranno e combatteranno per i proprio diritti?

Se a questo senso di smarrimento collettivo si aggiunge poi un sistema mediatico pronto a strombazzare la paura collettiva e il senso di insicurezza collettiva, ma soprattutto la crisi strutturale del capitalismo che sta colpendo ovviamente le fasce più deboli e povere della società e sempre di più la classe media e l’Italia dei piccoli artigiani, un tempo floride e serene, allora si capisce anche troppo bene come il senso della parola “democrazia” rischi oggi di suonare beffarda e molto più che amara per coloro che non sanno più vedere un futuro personale e collettivo. E sono in molti e sono purtroppo sempre di più.

I Soloni “democratici” della democrazia, dell’Europa, della partecipazione, si riempiono la bocca di valori suppostamente democratici, alzano la voce contro i nemici della democrazia, definiti sfascisti, forse perché li vorrebbero chiamare direttamente fascisti e soprattutto populisti.

Li vedono dappertutto questi populisti, li agitano come uno spettro che si aggira per l’Europa in cerca di vittime da abbattere, come una nuova ondata di barbarie arrivata per distruggere l’impero della ragione imbastito da élites evolute e perfettamente capaci di governare gli eventi.

Li agitano dappertutto questi populisti, sono per loro la medesima cosa che furono i barbari per i greci. Tutti barbari, tutti sulla medesima barca perché parlano una lingua che non capiscono o che, meglio, non vogliono capire.

Facile gioco, troppo facile, quello di marcare di netto una linea e di mettere da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, quello di dividere nettamente il male e il bene, come se davvero il bene e il male si presentassero separati o facilmente separabili.

Si autoproclamano paladini della democrazia e dei valori universali e illuministici. In nome di quei valori di cui si ergono a unici difensori contro la barbarie, promuovono poi politiche che aumentano la povertà dei più deboli, che tolgono diritti acquisiti nel lavoro e nella democrazia e provocano guerre a destra e a manca per il pianeta, senza nemmeno prendersi troppo la briga di dirlo alle rispettive opinioni pubbliche.

I vari job act che si moltiplicano in Europa, le varie leggi di riforma costituzionale che tolgono un po’ dappertutto partecipazione democratica in nome della democrazia, sembrano anch’essi delle vere e proprie prese per i fondelli.

Questi signori hanno paura della democrazia universale e della cittadinanza attiva e non hanno il coraggio di dirlo, semplicemente perché non hanno il coraggio di ammettere che assecondano precisi interessi che mirano a depotenziare la democrazia attiva, a rafforzare i ruoli degli esecutivi sulla sfera legislativa e giudiziaria e che propugnano una complessiva destrutturazione delle forme di partecipazione universale e collettiva, per favorire complessi organismi transnazionali burocratici e estranei al controllo democratico.

Hanno paura di dire la verità questi signori, come hanno paura di dire che non esisterebbero i nemici della democrazia, se non fossero essi stessi nemici della democrazia, almeno della democrazia attiva e universale attuata da una cittadinanza mobilitata e consapevole dei proprio doveri e dei propri diritti.

La parola democrazia, questo è il vero dramma del tempo presente, rischia semplicemente di perdere ogni senso concreto per una fetta crescente della popolazione debole e non rappresentata e questo sembra sempre più rispondere ad un disegno economico, politico e sociale ben preciso, che è venuto il tempo di combattere fino in fondo.

Di fronte al ricatto collettivo di masse di lavoratori cui lo spettro della povertà e della disoccupazione rischia di rendere obbligatorio ogni restrizione di salario e di diritti, parlare di partecipazione democratica, è come parlare di caviale ad un affamato.

O ci si rende conto, una volta per tutte, che la democrazia non può funzionare come mero incunabulo di vuote formule e valori avulsi dai bisogni reali della gente, oppure si dovrà accettare l’inesorabile deterioramento non solo della base di partecipazione democratica, ma, alla lunga, della democrazia stessa.

Nessun cittadino potrà mai essere veramente libero di espletare la propria vigilanza democratica e la propria partecipazione collettiva, se privo delle condizioni minime per provvedere al proprio sostentamento. Si tratta di una banalità anche troppo evidente per meritare di essere ribadita.

Eppure si tratta di una banalità che non risponde ad un’ipotesi remota, come forse poteva essere nei tempi gloriosi del bengodi economico, ma di una realtà concreta per milioni e milioni di cittadine e di cittadini che rischiano di essere tagliati fuori dalla società e relegati al ruolo di invisibili da sfruttare.

Ecco perché davanti a questa nuova barbarie di sfruttamento che si profila all’orizzonte e che è anzi già ampiamente tra noi, il REDDITO DI CITTADINANZA universalmente garantito rimane l’unico modo per garantire il grado minimo di coesione collettiva e per rendere ogni cittadino POTENZIALMENTE consapevole del proprio ruolo di vigilanza e soprattutto sottrarlo, anche se in minima parte, al ricatto dei potentati economici e sociali.

Certo, a queste mie affermazioni, si potrebbe affermare che nell’Ottocento e nel primo Novecento furono i lavoratori con gli scioperi a prendersi quei miglioramenti salariali e previdenziali che venivano loro negati dai datori di lavoro. Si potrebbe dire che non fu la politica a dar loro un reddito che li rendesse autonomi e desse dignità al loro lavoro, ma che furono essi a conquistarli.

Tutto vero, e certamente i lavoratori dovranno tornare a lottare e rivendicare direttamente anche a costo di disfarsi di sindacati spesso incapaci di modulare al meglio gli interessi collettivi dei lavoratori.

Solo che allora non esisteva una democrazia a suffragio universale e la democrazia, quella attiva e quella di voto, veniva tuttalpiù considerata un privilegio per pochi da esercitarsi in base al censo e al potere.

Quindi a meno che non si voglia tornare DE FACTO, prima che qualcuno un giorno consideri di farlo DE IURE, ad una democrazia limitata a settori minimi e economicamente potenti della società, bisogna considerare uno strumento che consenta ad ogni singolo cittadino e cittadina di poter contare su un reddito minimo che lo/la renda capace di potersi sentire parte della comunità e di lottare per l’estensione e la realizzazione dei propri diritti nella coscienza che impegnarsi nei propri doveri serva davvero al benessere diffuso dell’intera collettività.

I detrattori del Reddito di Cittadinanza, i paladini della democrazia a parole, i Renzi di turno, paventano il rischio che una misura del genere disincentiverebbe molti a lavorare a lottare per il miglioramento della propria condizione economica e impulserebbe la pigrizia sociale.

Ammesso che questi signori non siano completamente in mala fede e dicano castronerie prendendoci tutti per i fondelli credendoci davvero tutti stupidi, sembra quasi che Renzi e Company si credano nella Roma Neroniana, quella ovviamente raccontataci dalla storiografia vicina al Senato, in cui il popolo gozzovigliava tra feste imperiali e lotte tra gladiatori al Colosseo.

O forse vogliono davvero pensare che uno con un reddito di 780 euro possa davvero permettersi il lusso della pigrizia sociale come una qualsiasi Paris Hilton?

Verrebbe invece da pensare che temono tale misura perché per molti cittadini e cittadine il reddito di cittadinanza rappresenterebbe concretamente l’unica misura possibile per sottrarsi dalla povertà, e questo spaventa lor signori, perché farebbe di loro dei cittadini potenzialmente attivi e comunque nelle condizioni materiali minime per sottrarsi al ricatto dei datori di lavoro.

Ne hanno paura perché sanno benissimo che invece di incentivare la pigrizia sociale, una tale misura spingerebbe il lavoro a rivalutarsi, spingendo cioè i lavoratori a comprendere la dignità sociale del proprio lavoro e a rivendicare eventuali miglioramenti salariali e contrattuali. Una tale misura, facendo cioè dei cittadini potenzialmente consapevoli del proprio ruolo di vigilanza democratica, proprio perché sottratti al ricatto automatico dell’indigenza materiale, farebbe degli stessi cittadini dei lavoratori più consapevoli e agguerriti e pronti a lottare per il miglioramento dei diritti collettivi e non sono individuali.

Checché ne pensino molti, la democrazia a suffragio universale e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori salariati hanno marciato di pari passo e non potevano che marciare di pari passo.

Pensare come pensano oggi in molti che il job act non rappresenti oggi in Italia, come già in altri Paesi misure simili, un arretramento sostanziale del perimetro democratico del Paese, è solo un atto di assoluta malafede beffarda, anche perché operata da persone che si definiscono “democratiche” di “sinistra” e rappresentanti dei settori più deboli della società.

Inoltre questi paladini della democrazia a buon mercato, soprattutto se mercato finanziario verrebbe da dire, parlano come se non ci trovassimo davanti a una crisi verticale del capitalismo, come se domani si tornasse al bengodi di prima, come se nulla fosse mai successo. Ancora una volta ci prendono per i fondelli.

E ancora una volta non c’è bisogno di essere dei marxisti di stretta osservanza per capire cosa sia successo e che le cose non torneranno mai più come prima.

Come l’agricoltura era servita agli industriali, durante la prima Rivoluzione Industriale, per creare quell’accumulo primario necessario per il primo sviluppo industriale, così negli anni Novanta le famose delocalizzazioni sono servite, abbattendo il costo del lavoro e delle spese statali, a creare l’accumulo economico necessario per la rivoluzione informatica e finanziaria di quelgi anni e degli anni Duemila.

Negli anni Novanta nessuno piangeva per la scomparsa e soprattutto la marginalizzazione della classe operaia, anzi quasi tutti gli analisti ne decantavano la positività, prospettando il paradiso di una società di Servizi e di terziario.

Oggi appare chiaro che, come la delocalizzazione degli anni Novanta ha bruciato per sempre milioni di posti di lavoro nel settore industriale nei Paesi prima industrializzati, così la nuova rivoluzione industriale, questa volta informatica, degli anni Duemila, ha finito per bruciare per sempre, almeno in prospettiva, forse ancora più posti di lavoro nel settore terziario. Proprio in quel settore che un tempo veniva strombazzato come la manna dal cielo venuto per migliorare la vita dei ricchi occidentali.

Questi sono fatti e non chiacchiere da partito, verrebbe da dire da Partito Democratico, visto quello che il Presidente del Consiglio Renzi va strombazzando tronfiamente ai quattro venti. Solo chi non vuole vedere i macrofenomeni economici in atto può credere alla favola che tutto tornerà come prima e che le brave massaie di Voghera potranno tornare a vedere tranquillamente la De Filippi o i loro mariti Aldo Biscardi e le partite di calcio un giorno sì e l’altro pure, per poi andarsene in ferie e comprare l’ultima audi appena uscita dalla fabbriche tedesche.

Euro o non euro, Unione Europea o non Unione Europea, sudditanza USA o non sudditanza USA, Merkel o non Merkel, fino a quando non ristruttureremo tutto l’assetto economico e produttivo delle nostre società, fino a quando cioè non abbatteremo hic e sempliciter l’attuale capitalismo finanziario, dovremmo convivere con una disoccupazione strutturale tendenzialmente a doppia cifra.

Coloro che parlano di ripresa e di miracolosi job act risolutori, sostengono in realtà le conseguenze politiche di questo dato economico strutturale che hanno fatto di tutto per non ostacolare (uso qua un eufemismo). Vogliono l’indebolimento strutturale di milioni di persone cadute nell’incubo del ricatto economico e pronte a credere nel miracolo del provvedimento risolutore venuto dal buon governatore delle anime morte, sempre più morte se continuiamo così. Guarda caso da una mano concedono briciole economiche e dall’altra tolgono diritti, mercanteggiano risorse nazionali e svendono i beni comuni.

A loro la democrazia piace come parola, come bugia da strombazzare per riempirsi la bocca e per non sentire la propria falsa coscienza sempre più colpevole.

La democrazia sostanziale, quella operata da cittadine e cittadini resi consapevoli dei propri doveri e dei propri diritti, quella di persone capaci di operare per il bene comune e collettivo e non solo per quello individuale e soprattutto individualista, la democrazia come vera e consapevole partecipazione che viene dal basso, che è dialettica con una base critica capace di valutare le misure e le politiche decise da chi governa di volta in volta, questo non può certo piacere ai lor signori.

Sembra una barzelletta, ma da quando la crisi è iniziata hanno trovato miliardi di miliardi di euro per salvare banche e istituti finanziari vari, sono stati pronti a pagare guerre di ogni tipo, sono stati pronti a farsi ricattare da spread di vario genere, ma i soldi per istituire un reddito di cittadinanza che dia dignità a milioni di cittadini che oggi vivono nella povertà e nella totale assenza di ogni prospettiva concreta per il loro futuro, quelli non li hanno trovati. Non li hanno mai trovati e non li troveranno mai.

Non stanno dalla parte di chi soffre, non stanno dalla parte dei cittadini e delle cittadine che vogliono lottare per il proprio bene e per il bene della collettività alla quale appartengono, allora Renzi e Company da quale parte stanno?

Danno dei populisti agli altri, ma loro sono senza dubbio popolo fobici. Si arroccano, sperano nel ritorno del benessere perduto.

Ma non c’è più tempo da perdere, non è più possibile delegare il potere a questa gente e consentire loro di portarci verso un disastro collettivo scontato e da troppo tempo annunciato.

Non sono in buona fede e non sono democratici. Altrimenti il reddito di cittadinanza sarebbe già un fatto.

Marco Incardona

reddito1

L’AMORE DEL PROSSIMO SECONDO NIETZSCHE

Ecco una pagina tratta dal celebre “Così parlò Zarathustra” del filosofo Friedrich Nietzsche

download-1

DELL’AMORE DEL PROSSIMO

Voi v’affannate intorno al vostro prossimo e ne avete in cambio belle parole. Ma vi dico: il vostro amore del prossimo, è il vostro amore di voi. Vi attaccate al prossimo per fuggire voi stessi e vorreste far di ciò una virtù: ma io leggo nel vostro «altruismo». Il Tu è più antico dell’Io; il Tu fu già detto santo, ma l’Io non ancora; perciò l’uomo cerca il suo prossimo. Vi consiglio io l’amore del prossimo? Vi consiglio piuttosto di fuggire il prossimo e di amare quelli che son da voi più lontani! Più alto dell’amore del prossimo, sta l’amore dell’uomo lontano che ha da venire; più sublime dell’amore per l’uomo mi par l’amore per cose e fantasmi. Questo fantasma che ti corre dinanzi, o fratello, è più bello di te; perché non gli doni la tua carne e le tue ossa? Ma tu lo temi e ripari presso il vicino. Voi non potete sopportarvi e non v’amate abbastanza: vorreste perciò sedurre il vicino all’amore, e del suo errore indorarvi.   Io vorrei non poteste andar d’accordo col vostro prossimo e coi vicini di lui: dovreste allora cercar da voi stessi un amico dal cuore entusiasta. Voi invitate un testimonio quando volete dir bene di voi; e quando l’avete indotto a pensar bene di voi, voi stessi pensate bene di voi. Non mente soltanto chi parla contro la sua coscienza, ma anzi quello che parla contro la sua incoscienza. E così voi parlate nelle vostre relazioni e ingannate con voi il vicino. Così dice il folle: «il trattare col prossimo guasta il carattere, specialmente quando non s’ha». L’uno va dal vicino perché cerca se stesso, e l’altro perché vorrebbe obliarsi. Il poco amore che portate a voi stessi fa della vostra solitudine una prigione. Sono i più lontani che scontano il vostro amore pel prossimo; e quando non siete che cinque insieme, deve sempre un sesto perire. Io non amo nemmeno le vostre feste: vi trovai troppi commedianti ed anche gli spettatori si comportavano come commedianti. Non il prossimo v’insegno, ma l’amico. L’amico sia per voi la festa della terra e un presagio del superuomo. V’insegno l’amico e l’ardente suo cuore. Ma bisogna saper diventare una spugna se si vuole l’affetto di cuori ferventi.   V’insegno l’amico che porta in sé un mondo, una coppa del bene – l’amico creatore che ha sempre un mondo pronto da offrire. E come per lui andò svolgendosi il mondo, così si riavvolge nuovamente in anelli, quale un procedere del bene dal male, del fine dal caso. L’avvenire e il lontano siano per te la causa dell’oggi: nel tuo amico devi amare il superuomo, come la ragione di te stesso. Fratelli miei, non vi consiglio l’amore del prossimo: amate quelli che son da voi più lontani. Così parlò Zarathustra.

download (2).jpg