“Inverno a Parigi”. Estratto dal romanzo “L’uomo che sparì tra i rifiuti” di Marco Incardona

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Dopo tutti quegli anni, Marco non si era ancora abituato al freddo pungente che penetra deciso tra i prospetti di Parigi, mentre il cielo si fa, capriccioso, da plumbeo a limpido. No, non si era mai abituato a quella strana, stridente sensazione di strazio, che prepotente penetra fino alle narici e sembra distruggere ogni capacità olfattiva. Certo sapeva bene cosa significasse sentire le punta delle dita gelate, conosceva bene quel bisogno assoluto di riporre le mani in qualche luogo ben riparato, ma quello strazio che bloccava come in un blitz le sue narici, non riusciva proprio a farlo suo, non riusciva a farne esperienza quotidiana e normale. Gli anni erano passati veloci, ma quel freddo che, d’improvviso, coglieva quella città vasta, ariosa, aperta a tutte le correnti, proprio non riusciva ad accettarlo.

Eppure, dopo tutti quegli anni, di cose che al suo arrivo credeva inaccettabili, aveva finito per accettarne molte, quasi tutte, si potrebbe dire, anzi proprio tutte eccetto quel freddo pungente, che ancora lo faceva pensare con gioia alle giornate assolate della sua infanzia in Sicilia.

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Ormai i proiettili umani che venivano sparati ogni mattina dalla Gare St. Lazare verso destinazioni sconosciute, non gli facevano più nessuna impressione. Quel correre veloce, indifferente da un luogo ad un altro, senza sosta, senza dettagli, emozioni, geometria di una quotidianità fatta di impegni, di métro, di rendez-vous fugaci e di rientri di corsa, ormai non gli produceva più alcuna riflessione. Nemmeno la schiera di barboni addossati ad ogni angolo, boulevard, place, ruelle, et petit coin, non sembrava più fargli alcuno effetto. Certo ogni tanto, anche spesso, lo induceva a lasciare qualche moneta, ma nulla più, una cosa normale esattamente come fermarsi per comprare il giornale, od entrare in un bar per bersi un caffè. Si ricordava di loro, solo perché rappresentavano per lui il simbolo concreto di quella che significava cadere, perdersi in una città del genere.

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